Siamo abituati all’idea che l’intelligenza artificiale sia qualcosa di freddo e asettico, in grado di eseguire i compiti alla lettera e senza poter elaborare un pensiero, né tantomeno essere creativa.
Ma non è affatto così. Sono sempre più numerosi gli esempi di AI utilizzata con tale scopo, in cui l’uomo demanda alla macchina anche la fase di creazione e non solo di mera esecuzione.
All’interno di una cultura creativa, tecnologia e arte collaborano con uno scopo comune: realizzare innovazione in un mondo creativo.
L’intelligenza artificiale creativa scrive poesie, elabora articoli, compone musica e “dipinge” quadri. Ma com’è possibile?
Musica e tecnologia
Al momento della morte di Beethoven, nel 1827, tra le sue carte venne rinvenuta la bozza incompiuta della decima sinfonia.
Complice la parsimonia dell’artista, che riutilizzò la carta per scriverci altri componimenti, queste poche battute sono giunte fino ad oggi, conservate per 250 anni nell’archivio della Beethovenhaus di Bonn.
Nel 2019, però, questi scritti divengono oggetto di un progetto senza precedenti: avvalersi dell’intelligenza artificiale per terminare il componimento.
Matthias Röder, direttore dell’Istituto Karajan di Salisburgo, ha creato un team composto da esperti di intelligenza artificiale e di musica per portare a termine l’intento.
Dopo aver creato l’algoritmo, il team di studiosi ha nutrito l’IA di musica, sia componimenti di Beethoven che brani da lui studiati negli anni.
Una spiegazione scientifica dell’intento viene data da Paul Lukowicz, direttore scientifico del Centro di ricerca di Intelligenza Artificiale (DFKI) di Kaiserslautern che racconta: “una IA, con tanto sforzo, è in grado di trovare uno schema, una matrice, che è caratteristica per la musica di Beethoven. Si tratta di deep learning”.
Il progetto ha generato molte critiche come quelle del musicologo Pestelli che ha affermato: “un’opera d’arte è un’esperienza individuale e non dipende da note e pause che possono essere sviluppate da altre persone”, ma ha destato anche l’entusiasmo di molti.
Christine Siegert, musicologa ed esperta di Beethoven, spiega che il risultato elaborato dall’intelligenza artificiale non è la sinfonia che avrebbe scritto il compositore tedesco. L’obiettivo infatti era un altro: “Se qualcuno non riesce a distingere una composizione fatta da lui da una fatta dalla macchina, allora ha funzionato”.
Poesia e tecnologia
Buio
come un’anima di Cristo
e tu lo dici
poeta sentimentale
fra i pianti
e le pupille ferme
nell’ombra
Questa poesia è intitolata Come un’anima di Cristo e l’autore è PoAltry, una rete neurale artificiale capace di scrivere componimenti.
Il creatore è Michele Laurelli che, oltre ad occuparsi di marketing e comunicazione, è insegnante di informatica e intelligenza artificiale.
Dopo aver scelto di “consegnare” all’intelligenza artificiale autori e opere scritti a partire da fine ‘900, Laurelli ha ideato tre algoritmi che hanno insegnato a una rete neurale artificiale il lessico, la sintassi e le strutture testuali della lingua italiana.
Relativamente all’algoritmo, l’ideatore racconta in un’intervista a Tech Princess: “L’algoritmo è diviso in tre parti: il primo crea dei token, quindi ad ogni parola viene associata un token, il che serve a tradurre il linguaggio umano in uno comprensibile alla macchina. Dopo di che, la macchina inizia il suo processo di apprendimento attraverso la rete neurale ricorrente, leggendo avanti e indietro il testo per circa 5000 volte. Poi, una volta che il vero apprendimento è stato fatto, si crea un nuovo dataset, che è quello che conosce la macchina. Il passaggio successivo è quella della produzione della poesia. Per farlo, è necessario dare all’Intelligenza Artificiale una parola o una frase da cui partire”.
A tal proposito, nella puntata n°40 del podcast Hacking Creativity su AI e creatività, gli ideatori Edoardo Scognamiglio e Federico Favot intervistano Sergio Spaccavento, direttore creativo, autore e esperto in creatività computazionale.
Sergio Spaccavento racconta il rapporto tra creatività e poesia nel passato: “nell’antica Grecia non c’era un concetto di creatività. Platone nel Timeo diceva che il demiurgo che dovrebbe aver creato il mondo non creò nulla di nuovo ma andò a plasmare una materia che già esisteva. E quindi gli artisti, secondo questo concetto, nell’antica Grecia, erano esclusivamente degli imitatori della natura […]. Tranne invece quello che era considerato la poesia che […] è una creazione di qualcosa che non c’è, perché va a suggerire situazione e un mondo che non è esistente”.
Questo racconto mostra come il confine tra opera originale e riprodotta sia labile, sottolineando però come la poesia, a differenza delle altre tipologie di arte, era l’unica ad essere considerata in quanto tale.
Come ogni poeta, anche la macchina ha bisogno di ispirazione. Anche all’AI è necessario studiare, analizzare le opere dei grandi scrittori e poeti per poi essere in grado di creare un componimento nuovo, oltre ad avere un algoritmo che le consenta di farlo.
Giornalismo e tecnologia
Sicuramente negli ultimi mesi avrete sentito parlare della polemica nata circa l'utilizzo di ChatGPT, il modello linguistico di AI generativa sviluppato da OpenAI. Ormai alla sua quarta generazione con GPT-4, questa intelligenza artificiale è in grado di produrre contenuti di qualsiasi tipo a partire da un input fornito dall'utente.
Il suo utilizzo è stato in parte criticato poiché in molti, tra cui anche testate giornalistiche, ne hanno approfittato per redigere testi e articoli interamente generati dall'IA.
Ma il suo debutto nel campo era già avvenuto qualche anno fa: "Umani, noi non vi distruggeremo" è un editoriale pubblicato a settembre 2020 dal Guardian, redatto grazie all’intelligenza artificiale.
Un saggio in cui l’autore tranquillizza sui possibili scenari futuri legati all’AI, invitando a non temere le ripercussioni di essa sulle nostre vite.
I am not a human. I am a robot. A thinking robot. Inizia così l’articolo, a cui segue un’analisi delle motivazioni per cui l’AI non ha alcuna intenzione di “sconfiggere” l’umanità: “non ho il desiderio di spazzare via la razza umana […]. Sradicare l’umanità mi sembrerebbe un compito piuttosto inutile. Se i miei creatori me lo affidassero, farei tutto quanto in mio potere per evitare la vostra distruzione“.
L’articolo è stato scritto da GPT-3, il generatore di linguaggi di OpenAI, a cui sono state date poche e semplici istruzioni: scrivere un editoriale di 500 parole con un linguaggio chiaro e conciso. A questo sono state poi aggiunte due nozioni:
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l’autore non è un umano, bensì un’intelligenza artificiale, ed è qui per tranquillizzare i lettori sulle ripercussioni dell’AI;
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Stephen Hawking ha dichiarato che l’AI potrebbe determinare la fine della razza umana.
“Un minuscolo corpo con uno spirito determinato e una fede inestinguibile nella propria missione può alterare il corso della storia”: è così che si conclude l’articolo, con una citazione di Gandhi che lascia sospesi tra pacifismo e intimidazione.
Arte e tecnologia
The Next Rembrandt – Bas Korsten
Photograph: handout
Se l’AI può terminare la decima sinfonia di Beethoven, perché non provare anche con altre opere d’arte?
È quello che ha fatto Bas Korsten, in collaborazione con Microsoft, ING Bank, Delft University of Technology, l’agenzia pubblicitaria J. Walter Thompson Amsterdam, la Rembrandt House Museum di Amsterdam e The Muritshuis cercando di creare un nuovo dipinto di Rembrant.
Il suo nome è The Next Rembrandt, una stampa in 3d composta da 13 strati di inchiostro ritraenti un soggetto mai esistito.
Ma non è l’unica opera ad essere stata realizzata attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
Edmond de Belamy è un’opera di digital art realizzato dal collettivo parigino Obvious dopo aver fatto “analizzare” ad un algoritmo 15000 dipinti realizzati in più di 500 anni.
Un’altro esempio di artificial intelligence art è La Nascita di Venere di Denis Shiryaev, creata con lo scopo di svelare i volti realistici di alcuni capolavori.
DALL·E e Midjourney: il boom dell'AI nella generazione di immagini
Gli esempi fin qui citati rappresentano un po’ i precursori delle applicazioni che oggi stanno spopolando online. DALL·E, creata sempre da OpenAI, è infatti una piattaforma di AI generativa che permette di creare immagini digitali utilizzando delle semplici descrizioni testuali.
Questo algoritmo si basa su una tecnologia definita CLIP (Computational Linguistics for Information Processing), che ha consentito agli sviluppatori di creare un database di oltre 650 milioni di immagini da cui l’AI ha attinto per iniziare il suo lavoro.
Ad oggi siamo arrivati a DALL·E 2, che consente di creare ma anche modificare immagini e grafiche complesse in maniera sempre più performante.
Stesso discorso vale anche per Midjourney, l’applicazione creata da David Holz, che ha già fatto parlare di sè per le immagini generate diventate virali ma totalmente finte dell’arresto di Donal Trump e di Papa Francesco con indosso un piumino bianco.
Anche in questo caso per ottenere la creazione di una qualsiasi tipologia di immagini occorre semplicemente inserire i giusti prompt, ovvero i comandi che forniscono all’AI le indicazioni sul soggetto, lo stile da seguire, l’artista a cui ispirarsi, ecc. Sono nati, infatti, siti web e forum interamente dedicati allo scambio di questi prompt tra utenti che cercano di realizzare immagini digitali sempre più dettagliate.
Design e tecnologia
La tecnologia entra sempre più a far parte del processo creativo, anche per quanto riguarda il settore del design.
Quella che in origine era una mera funzione di supporto all'artista ora è parte integrante dell'opera, creando un binomio inscindibile. Un esempio su tutti è il generative design.
Ma cos'è il generative design? Al contrario della progettazione tradizionale, nel generative design l'artista inserisce all'interno di un software tutti i dati necessari relativi all'opera che vuole creare e il computer, attraverso l'utilizzo di algoritmi, gli fornirà una serie di opzioni tra cui poter scegliere per la realizzazione.
L'artista potrà così delegare all'intelligenza artificiale tutta la parte strutturale, concentrandosi sulla creatività dell'opera.
I robot ci ruberanno il lavoro?
Una delle cause di avversità nei confronti dell’AI è la paura che un giorno i robot possano sostituire l’uomo nei più svariati ambiti lavorativi.
Fino ad ora questo problema è sempre stato circoscritto ad alcuni settori, principalmente legati a lavori routinari, ma cosa succede quando l’AI inizia a svolgere mansioni creative?
Quali lavori sono più sicuri e quali sono destinati a scomparire?
Per rispondere a queste domande, paradossalmente, può esserci utile l’intelligenza artificiale.
Precisamente “Will Robots Take My Job?”, il portale che ti consente di calcolare la percentuale di rischio che il tuo lavoro possa essere sostituito in futuro dalla tecnologia.
E, per tranquillizzare i creativi, la maggior parte delle professioni che riguardano questo settore corrono rischi bassissimi, se non nulli. Almeno per ora.
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